Israele ha sul tavolo diverse opzioni per rispondere all’attacco sferrato dall’Iran nella notte tra sabato e domenica, ma cercherà probabilmente di sceglierne una che scoraggi un’eventuale contro-risposta da parte del regime degli ayatollah.
Ne è convinto l’analista Lion Udler, esperto di sicurezza di origini israeliane ed ex comandante in una unità speciale di antiterrorismo delle Forze di difesa israeliane (Idf). In un’intervista rilasciata ad “Agenzia Nova”, Udler spiega che la volontà dello Stato ebraico di rispondere all’Iran è fuor di dubbio. Israele, infatti, considera l’azione di Teheran “assolutamente sproporzionata” rispetto al bombardamento israeliano a Damasco nel quale lo scorso primo aprile è rimasto ucciso il suo generale Mohammad Reza Zahedi, comandante della Forza Quds delle Guardie della rivoluzione islamica in Siria e in Libano.
L’ufficiale, osserva l’analista, si trovava in un edificio che non faceva parte del consolato iraniano e che, ospitando una riunione tra vertici dei pasdaran, poteva essere considerato un legittimo obiettivo militare.
Dall’altra parte, secondo Udler, l’Iran ha mostrato una chiara volontà “di creare danni e vittime” con il lancio di oltre 300 tra droni e missili balistici e da crociera, un attacco “di portata superiore ai più importanti lanciati dalla Russia contro l’Ucraina” e al quale lo Stato ebraico è chiamato a rispondere per ripristinare una deterrenza credibile, senza tuttavia provocare una “contro-reazione”.
Il punto, dunque, non è “se” Israele reagirà (il gabinetto di guerra ha già preso una decisione in tal senso), ma quando e, soprattutto, come. Avendo ritrovato un ampio appoggio diplomatico dopo l’attacco iraniano, Udler è convinto che il primo ministro Benjamin Netanyahu possa permettersi di “aspettare qualche giorno”.
Anche perché, nel frattempo, gli Stati Uniti hanno fatto sapere che intendono ora accelerare l’approvazione di un pacchetto di aiuti militari che prevede lo stanziamento di circa 14 miliardi di dollari per Israele e che da mesi è in stallo al Congresso.
Questo sostegno internazionale, sostiene l’analista, consente ai vertici dello Stato ebraico di prendere in considerazione diversi scenari militari. Se dovesse rispondere con un attacco missilistico, Israele potrebbe affidarsi per la prima volta ai suoi missili balistici intercontinentali, che hanno una gittata fino a 15.500 chilometri.
Tuttavia, considerato che la distanza tra le due frontiere è di 1.165 chilometri, più probabilmente opterebbe per i più appropriati Jericho-3, sistemi missilistici a raggio intermedio in grado di colpire obiettivi fino a 4.400 chilometri.
Un’altra opzione a disposizione è quella dell’attacco aereo, che Israele potrebbe condurre con caccia F-15, F-16 ed F-35, ma anche con droni di sua fabbricazione. Tutto dipenderà, in ogni caso, dal tipo di obiettivo.
Secondo Udler, Israele ha le capacità tecnologiche per colpire i siti nucleari iraniani e quelli connessi al programma atomico. “Non parliamo di reattori”, precisa, ma dei laboratori nei quali si arricchisce l’uranio, a Natanz e a Fordow, e della fabbrica di centrifughe a Karaj.
Il sito di Fardaw è sotterraneo e si trova a circa 30 chilometri dalla città di Qom, nel centro del Paese, mentre quello di Natanz, nella provincia di Isfahan, è parte in superficie e parte nel sottosuolo. Israele li ha già colpiti entrambi in passato, ma sempre con azioni di sabotaggio. Ora potrebbe decidere di attaccarli con un raid aereo e con l’uso di bombe anti-bunker che le forze armate israeliane hanno già in dotazione.
Al gabinetto di guerra convocato oggi a Gerusalemme, osserva Udler, erano presenti sia il comandante delle forze aeree, Aluf Tomer Bar, che il direttore del Mossad, David Barnea, a dimostrazione di come il governo stia valutando sia l’operazione militare che quella d’intelligence.
Un secondo scenario riguarda gli obiettivi militari. Israele potrebbe scegliere di colpire le fabbriche iraniane nelle quali si producono missili e droni. Secondo Udler, un’opzione molto “strategica” è rappresentata dall’impianto, situato a Isfahan, nel quale si producono i famosi droni Shahed-136, gli stessi che l’Iran fornisce alla Russia e che da quest’ultima vengono utilizzati per colpire obiettivi in Ucraina.
Se distruggesse tale fabbrica, riflette l’analista, Israele farebbe cosa gradita agli Stati Uniti e ai Paesi europei che appoggiano Kiev contro l’invasione russa. La sua azione, inoltre, sarebbe “bilanciata” e potrebbe scongiurare il rischio di una contro-risposta da parte di Teheran.
Questa ed altre valutazioni, in ogni modo, sono al vaglio dell’odierno gabinetto di guerra, nel quale hanno diritto di voto solo il primo ministro Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant e l’ex capo di Stato maggiore delle Forze di difesa israeliane (Idf) Benny Gantz.
I tre assumeranno decisioni sulla base dei piani proposti dai vertici militari e dal Mossad, e successivamente sottoporrà le proprie deliberazioni al gabinetto di sicurezza, del quale fa parte un numero maggiore di ministri e di generali delle forze armate. Secondo Udler, i vertici politici e militari israeliani sono concordi sulla necessità di rispondere agli attacchi iraniani dello scorso settimana, e le riunioni verteranno su modalità e tempistiche della reazione.
L’ufficio di Netanyahu ha negato nelle scorse ore le ricostruzioni giornalistiche secondo cui due membri del governo, il già citato Gantz e Gadi Eisenkot, avrebbero voluto una risposta immediata a Teheran. Forse, riflette l’analista, anche il primo ministro avrebbe voluto attaccare già nel fine settimana, e potrebbe essere stato indotto ad aspettare dalle pressioni del presidente statunitense Joe Biden.
Il capo della Casa Bianca ritiene però anche che aver intercettato il 99 per cento dei droni e dei missili partiti dall’Iran sia già una vittoria per Israele. È improbabile, secondo Udler, che Netanyahu sia d’accordo.
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