Sulle prospettive del conflitto a Gaza, l’analista di intelligence ed esperto di terrorismo
Lion Udler ha le idee chiare: L'ldf ha terminato l'operazione a Khan Yunis, nella Striscia di Gaza meridionale, smantellando i battaglioni di Hamas in loco. Pertanto è stato ordinato il ritiro delle unità presenti nella zona, in previsione dell'operazione a Rafah dove stazionano quattro battaglioni della milizia palestinese, i suoi leader e gli ostaggi israeliani. Fino ad allora si proseguirà con operazioni aeree utili a eliminare i membri dell'organizzazione terroristica ancora presenti nel resto della Striscia, per quanto in ordine sparso l'entrata a Rafah avverrà nel rispetto del diritto internazionale, dato che «nella città sono presenti oltre un milione di profughi, evacuati nei mesi scorsi dalla parte settentrionale della Striscia.
L'esercito israeliano ne garantirà lo sposta mento in sicurezza prima di intervenire
militarmente nella zona di guerra. Presumibilmente saranno ospitati in una zona cuscinetto tra Rafah e Khan Yunis o addirittura in quest'ultima.
Israele ha già acquistato numerose tende utili a fornire alloggio agli sfollati spiega Udler.
Altro fronte caldo è quello al confine Nord, dove si intensifica il confronto con la milizia sciita di Hezbollah: Sin dal 7 ottobre si combatte una guerra a bassa intensità tra Israele ed
Hezbollah, che si è acuita di recente. Da entrambe le parti si attacca in profondità: Israele colpisce quotidianamente siti militari e magazzini con armamenti delle milizie. Il futuro di questo scontro non dipende però da Hezbollah, quanto piuttosto dalle scelte della teocrazia iraniana.
Fa notare Udler: Hezbollah non ha autonomia decisionale ma è un surrogato dell'Iran. Sostenuta, finanziata, armata e comandata dal regime degli Ayatollah. Sarà la teocrazia sciita a decidere l'evoluzione del conflitto, visto che ha giurato vendetta dopo il raid a Damasco contro il quartier generale delle Guardie Rivoluzionarie.
Resta comunque da capire come possa e intenda agire: Se gli iraniani attaccheranno direttamente Israele dal proprio territorio, daranno il via a una guerra regionale. Questo comporterebbe attacchi devastanti da parte di Gerusalemme verso Teheran, soprattutto contro il programma nucleare. Inoltre è da considerare che un raid iraniano contro Israele rischierebbe di fallire a causa delle difese aeree efficaci di Gerusalemme, mentre in caso contrario Teheran potrebbe palesare vulnerabilità militare e subire una nuova umiliazione.
Secondo Udler è possibile che la teocrazia utilizzi i suoi proxy (cioè i gruppi ribelli o le milizie, comunque entità non statali) per rispondere al raid di Damasco, imponendo loro di attaccare Israele da più fronti e contemporaneamente. Un gesto che mirerebbe a tutelare la reputazione dell'Iran e a evitare una risposta israeliana direttamente sul proprio territorio.
L'esperto si focalizza anche sui rapporti tra Israele e Stati Uniti, da leggere al netto delle esigenze dettate dalla campagna elettorale: Negli Usa si vota a novembre, dunque sono comprensibili certe dichiarazioni fatte con la speranza di un risvolto positivo dalle urne. Joe Biden ha bisogno del voto dei musulmani, è questa la ragione principale per cui critica Gerusalemme. Non è interessato nel merito alle vicende politiche, ma vuole raccogliere consenso nei cittadini americani di fede islamica. Larga parte delle sue esternazioni non è avallata da azioni consequenziali: pensiamo alle forniture militari a Israele, che non sono o saranno mai in discussione.
L'amministrazione stessa non le bloccherebbe ma, se pure volesse, non potrebbe farlo: esiste una legge che impone al Pentagono di fornire armamenti a Israele al fine di mantenerne costante la superiorità militare rispetto agli avversari mediorientali. Nei casi più estremi il presidente Biden potrebbe ridurre la quantità di armi d'attacco fomite a Gerusalemme, mai di quelle difensive. Ogni giorno arrivano armi dagli Usa in Israele per via aerea, in quantità utile a combattere su ogni fronte che lo richieda
Udler menziona infine il legame tra Israele e i Paesi europei: E storicamente complesso, variabile a seconda del tipo di governo. Anche in Europa c'è una percentuale alta di musulmani integrati nella popolazione con cui i politici cercano di creare empatia comunicativa. Tuttavia pure in questo caso ogni dichiarazione va contestualizzata, perché spesso non seguita da alcun risvolto decisionale. In ogni caso i legami privilegiati e decisivi per il futuro di Israele sono quelli con gli americani, più che con gli europei.
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